La Biennale d’arte di Venezia 2019

  • 10 Settembre 2019

May you live in interesting times

Uno splendido weekend di luglio ha fatto da cornice alla nostra permanenza nell’affascinante laguna di Venezia all’insegna della scoperta degli ultimi orizzonti contemporanei verso i quali si stanno muovendo gli artisti internazionali di oggi nell’ambiente che li circonda.
Concept nonché titolo fortemente evocativo di questa edizione della Biennale d’arte è il musicale vocativo May you live in interesting times.
Chiariamone fin da subito le origini così da tenere la lampada sempre ben accesa in questo percorso esplicativo-espositivo che abbiamo cercato di costruire per voi.
Paolo Baratta, Presidente della Biennale di Venezia, descrive il concept come una sorta di maledizione, nella quale l’espressione “interesting times” evoca, dice lui, l’idea di tempi sfidanti e persino minacciosi, ma tale espressione può anche essere un invito a vedere e considerare sempre il corso degli eventi umani nella loro complessità, un invito pertanto che ci appare particolarmente importante in tempi nei quali troppo spesso prevale un eccesso di semplificazione, generato da conformismo o da paura.

Ralph Rugoff, il curatore della 58a Esposizione Internazionale d’Arte parla del concept che ha coniato per la mostra riconducendolo al suo primo utilizzo:
In un discorso della fine degli anni Trenta del secolo scorso, il parlamentare britannico Sir Austen Chamberlain invocò un antico anatema cinese di cui era venuto a conoscenza grazie a un diplomatico britannico di stanza in Asia che curiosamente recitava: “Che tu possa vivere in tempi interessanti”. “Non vi è alcun dubbio che l’imprecazione ci abbia colpito”, osservò Chamberlain. “Passiamo da una crisi all’altra, in un susseguirsi di traumi e disordini”.
In tempi di fake news, di fatti sconcertanti ecco che in aiuto ci viene come sempre l’arte – arte come guida e riflessione, specchio sugli aspetti precari della nostra esistenza attuale, specchio sulla minaccia alle tradizioni fondanti delle comunità del mondo, specchio sulla minaccia all’integrità ambientale, specchio sulla minaccia alle istituzioni e relazioni dell’ordine postbellico.
L’arte riconduce all’essenza della realtà fondante delle comunità, il dialogo e la conversazione, e ci comunica punti di riflessione dai quali ripartire per costruire sempre mondi migliori.
Seguendo il nostro percorso emotivo, vi guidiamo alla scoperta della Biennale attraverso un apparato fotografico personale con il quale ci auguriamo possiate assaporare la consistenza di spazi e contenuti al meglio.

Prima emozione: poesia allo stato naturale Primissima sulla lista delle emozioni è l’arte delle 3 bravissime artiste lituane nonché vincitrici del Leone d’Oro per la miglior Partecipazione Nazionale: Lina Lapelyte, Vaiva Grainyte e Rugile Barzdziukaite sotto la curatela dell’italianissima Lucia Pietroiusti.
Sun & Sea (Marina) è un’opera estremamente poetica e diretta in maniera lampante, vuoi grazie alla sua struttura – una tipica performance artistica curata in maniera eccellente, vuoi grazie ai suoi contenuti reali e dunque evocativi. Parliamo di un’opera brechtiana come dice la giuria che l’ha premiata, con all’interno la città di Venezia con i suoi abitanti che si sono prestati al gioco della nostra curatrice Pietroiusti. Ogni mercoledì e sabato, tra le 10 e le 18, tutti alla Calle de la Celestia a mettere in scena il nostro quotidiano all’interno della cornice di una spiaggia.

Immagina una spiaggia – e tu, lì.
Il lento scricchiolìo di una Terra esausta, ansimante.
Seconda emozione: paura è con Mondo Cane e qui più che di emozione dovremo parlare di – “vieni e ti faccio vedere come gira il mondo”.
Il Belgio ci presenta questo mondo da una prospettiva non potremo che dire privilegiata quale la sua variegata Bruxelles – polo europeo e storico di relazioni e affari. Gli automi di Jos de Gruyter e Harald Thys ci illustrano attraverso l’uso di marionette formato verosimilmente umano, la realtà di oggi attraverso una messinscena a dir poco grottesca, disturbante la definirei. Entrando nel padiglione si ha l’idea di trovarsi in un banalissimo e statico museo delle arti e dei mestieri popolari: alle pareti acquerelli con paesaggi bucolici mentre al centro della stanza alcuni automi tra cui un calzolaio, un arrotino, un filatore, sono condannati a ripetere all’infinito le medesime azioni.

Tutti bianchi e quasi tutti uomini, una società chiusa, ripiegata su se stessa, arroccata nella difesa della propria identità. Ai rumori delle attività si unisce una cacofonia di lamenti provenienti dalle sale laterali all’interno delle quali sono chiusi dietro sbarre malati schizofrenici, zombie, invalidi, mendicanti e poeti. La risposta del duo belga al concept della Biennale è la satira graffiante di un’Europa che non vive aihmé un tempo interessante, che assiste impietrita al tramonto delle proprie illusioni.

Con Mondo Cane il Belgio si porta a casa la menzione speciale da parte della Biennale.
Terza emozione: umana
Umano troppo umano, avrebbe detto Nietzsche all’esplorazione artistica di Lariss Sansour, bravissima artista che firma il Padiglione della Danimarca alla Biennale.
Larissa esplora come le nozioni di memoria, trauma, identità e senso di appartenenza giochino un ruolo cruciale all’interno di contesti politicamente contesi.
La fantascienza è il veicolo da lei scelto per sfidare la concezione del tempo – storie personali si intrecciano a storie collettive, mentre memoria e oblio competono l’uno con l’altro.
In risposta a ciò, la fantascienza apre un mondo di convivenze possibili tra contrasti.
Nel Heirloom, Sansour presenta un mondo trasferitosi sottoterra in seguito a un disastro ecologico. Questo mondo sottoterra sembra esistere e sopravvivere in assenza di coordinate legate al tempo ed allo spazio. L’opera Heirloom accenna alla complessità di cercare rifugio ed alla difficile sfida di trovare conforto nel futuro.
All’interno del Padiglione, due donne protagoniste video, discutono sul valore della memoria dopo la perdita del mondo sopra suolo.
Dei filmati meravigliosamente semplici, essenziali, minimal caratterizzano l’ambiente circostante mentre l’esterno del padiglione è massicciamente occupato dall’installazione Monument for Lost Time – una grandissima sfera che evoca un deposito di ricordi, un’evocazione dell’assenza del presente, un vuoto situato tra ciò che era e ciò che avverrà, si dice nel filmato – come un buco nero.

Quarta emozione: movimento
Si intitola Unfinished Conversations on the Weight of Absence la mostra che gli artisti Belu-Simion Făinaru, Dan Mihălțianu e Miklós Onucsán presenteranno al Padiglione della Romania.
Quella della Romania è un’arte di risposta poetica al clima crescente del nazionalismo e del populismo, un tentativo di mobilitazione di un’estetica alta, nobile contro l’abuso dei simboli del potere nella cultura visiva attuale – il risultato ne è un padiglione minimal all’interno del quale gli spazi convenzionali cessano di esistere e tutto è improntato alla riflessione sulla situazione contemporanea dell’arte e quindi della realtà che ci circonda – laguna di Venezia compresa.

Quinta emozione: libertà
La quinta emozione è quella che promuove in maniera aperta e chiara il Field Hospital previsto nel Padiglione di Israele. L’artista Aya Ben Ron crea un ospedale da campo internazionale e quindi mobile, che si dedica alla ricerca del modo in cui l’arte può agire e reagire ai mali sociali.
Imparando dalle strutture e dalla pratica degli ospedali, dalle organizzazione per la tutela della salute e da strutture di cura, l’ospedale offre uno spazio in cui voci inascoltate possono essere udite e ingiustizie sociali possono essere individuate.

Ci sottoponiamo anche noi alle cure di quest’ospedale e attraversiamo i vari step previsti all’interno dell’organizzazione per sentirci liberi come dice il suo motto: here anyone can live free.
Prendiamo il nostro numero di turno, attendiamo nella zona di ricezione ascoltando le informazioni sull’ideologia dell’ospedale, quando arriva il nostro turno scegliamo un braccialetto di rischio e continuiamo il percorso all’interno dell’unità di sicurezza nella quale impariamo attraverso istruzioni sonore come produrre un Urlo Trattenuto.
Passiamo poi alle poltrone di cura progettate per influenzare le condizioni psicologiche ed emotive del visitatore attraverso l’ascolto. Personalmente ascolto Idit Avrahami che mi parla della questione dei bambini Yemeniti, Orientali e balcanici – la sparizione forzata di migliaia di bambini di famiglie immigrate in Israele specialmente negli anni ‘50, subito dopo la sua fondazione.
Racconti con emozioni toccanti che invitano alla riflessione – all’uscita dal Field Hospital ci viene rilasciato il braccialetto che ci accompagnerà con il claim Here anyone can live free.

Auguriamo buon viaggio a questo artista ed al suo progetto nel salvare e ridare libertà ai singoli del mondo.

Sesta emozione: empatia

Di fronte al cocept del curatore Rugoff, l’artista del Padiglione dell’Uruguay, Yamandù Canosa risponde con la sua idea di casa, la casa empatica – di fronte alle incertezze del mondo, alle sue crisi ed agitazioni, ci troviamo immersi nel padiglione in un ambiente inclusivo ed empatico nel quale non c’è posto per le disuguaglianze, per le diversità.
In questa casa sono previsti quattro muri che portano i nomi dei punti cardinali. Si accede alla casa da sud ed è un cielo stellato che con il suo riflesso sul pavimento completa un paesaggio totalizzante.

L’orizzonte che propone Canosa, raccontano i curatori del padiglione, è quello delle nostre reciproche relazioni e l’artista esemplifica poeticamente la bellezza della nostra uguaglianza e della nostra differenza. La casa empatica è la casa delle frontiere rotte. E a noi questa casa è piaciuta moltissima, nella sua idea di casa, nella sua essenza minimalista.
Settima emozione: lo stato naturale

Lo spiro della natura ce lo consegna il Padiglione dei paesi nordici – un padiglione estremamente minimal come è ben caratteristico di tali popolazioni e tali aree del pianeta.
Da sempre, la struttura aperta e vegetale di questo spazio permette la comunicazione di temi sensibili ai giorni nostri quali quelli ambientali.
La collettiva Weather report: forecasting nature propone sculture e installazioni che sono variazioni sulla natura e ne simulano le forme.

Immaginando mutazioni futuribili dovute ai cambiamenti climatici, le sculture di Ane Graff crescono nel tempo come organismi viventi e reagiscono al contatto con l’atmosfera.
Nel padiglione si parla di riciclo e di comunicazione e comunione tra uomo e natura e questo tema non può non emozionarci, oggi, più che mai.

Allo stesso modo, sempre in questa chiave, ci preme citare il Padiglione del Canada che per questa edizione è stato dedicato alla cultura Inuit con il progetto multimediale Isuma.
One day in the life of Noah Piugattuk è una riflessione sui trasferimenti forzati delle famiglie Inuit dal proprio luogo di origine.

Passiamo ora ad una rassegna sulle singole partecipazioni degli artisti invitati alla Biennale e in primis partiamo con l’italiana Lara Favaretto che ci accoglie all’ingresso dei Giardini con la sua acqua vaporizzata – un’aerea artista, con un’opera poetica e in penombra, un vedo non vedo che si fa presenza e conduce il visitatore all’interno della Biennale.

Nei Giardini, spiazzante e liquida è l’opera del duo cinese Sun Yan e Peng Yu – un braccio meccanico spazza a ciclo continui liquido rosso dal pavimento, trasforma il gesto sanguinolento in un sincopato e quasi romantico balletto, dove a turbare è l’anima indipendente e viva del robot che genera il tutto.

Affianco al duo cinese, una monumentale Teresa Margolles ci narra il suo Messico oggi.
“Per le sue opere acute e commoventi che trattano il dramma delle donne gravemente coinvolte dal narcotraffico nel suo Messico, creando potenti testimonianza che spostano strutture esistenti nel mondo reale alle sale espositive” l’artista si merita la menzione speciale della Biennale.

Un muro di Ciudad Juarez, città nota in Messico per l’alto numero di donne uccise e scomparse per il narcotraffico, è visibile nello spazio con filo spinato e crivellato da veri proiettili.

Come non citare l’indiano Soham Gupta presente all’Arsenale con delle fotografie super realistiche in chiave di povertà espressiva – un tributo alla sua comunità, alla sua gente, alla brutale realtà di quei visi impressi sulla pellicola.

Concludiamo infine questa rassegna con la presenza dell’Italia alla Biennale – una presenza scarna, povera curata dal giovane Milovan Farronato. Sua la Nè altra nè questa. Sfida al labirinto.
Tra gli artisti coinvolti Enrico David, Liliana Moro e Chiara Fumai.
Un padiglione complessamente povero è quello italiano, complesso e vuoto – nulla di esteticamente autentico colpisce nel vero senso della parola se non il suono di una Bella ciao contorta, smorzata, aritmica che ci accompagna al suo interno grazie ad un megafono di Liliana Moro e anche qui ci invita alla riflessione.

Un’arte confusa quella della Biennale di questa edizione – che combatte con il passato, il presente ed il futuro, con la sua comunicazione, un’arte testimonianza dei tempi che stiamo attraversando e l’augurio in chiave evocativa è proprio quello che facciamo a tutti:
May you live in interesting times
per coglierne le debolezze, le criticità di questi tempi, le difficoltà e poi rielaborarle, plasmandole in una realtà possibile e migliore.
La Biennale resterà aperta fino al 24 Novembre e ne consigliamo a tutti voi la visione per guardare con una lente d’ingrandimento al mondo di cui facciamo parte, tenendo la lampada sempre accesa.

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Autore

Daiana Cotoara

Nata nel 1989, Daiana Cotoara fin da piccola è appassionata di arte a 360° e curiosa della Bellezza che ci circonda, quella Bellezza che come avrebbe detto Fëdor Dostoevskij, salverà il mondo.

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